RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX -
Anarchici, Genova è la nuova capitale
Genova, 21 dicembre 2009
Anarchici, Genova è la nuova capitale
Soppiantate le piazze del passato. Il motivo: «Non perché è stata la città del G8, ma per il fascino del suo centro storico»
MARCO MENDUNI
Dal 2002 a oggi sono
stati duecento gli esponenti vicini ai
movimenti anarcoinsurrezionalisti
passati per la città. Molti di loro, almeno
50, si sono fermati. Alcuni vivendo
ospiti di amici. Molti di più trovando una residenza ufficiale,
per sfuggire ai
fogli di via. Aumentati sempre di
più nel corso degli ultimi anni. Alcuni
sospettati (solo sospettati) di essere vicini
alla Fai, la Federazione anarchica
informale, che ha rivendicato il fallito
attentato alla Bocconi di Milano.
A Genova non perché sia stata la
città del G8 e della morte di Carlo Giuliani.
Semplicemente perché, racconta
chi è vicino a loro, «si trovano bene e il
centro storico sembra fatto per chi ha
scelto di vivere in maniera differente».
Genova è diventata la capitale del
movimento anarchico più effervescente,
duro e radicale, soppiantando
le piazze del passato: Milano, Rovereto
Viterbo, la Toscana. Sono venti gli avvisi
notificati negli ultimi mesi dalla
digos, sei soltanto nelle ultime settimane,
che rappresentano un avvertimento
prima di passare alla sorveglianza
speciale.
L’“avviso orale”, a dispetto del
nome, è un documento scritto, un invito
del questore «a cambiare condotta
». Se questo non avviene, si
entra nel regime di sorveglianza speciale
per un periodo che va dai due
mesi ai tre anni. La reazione è stato
uno striscione ostentato nel corso
delle ultime manifestazioni: “Sorvegliateci
iMaroni”.
Diversi e lontani dai movimenti
anarchici più tradizionali, come la
Fai, la Federazione anarchica italiana
(alla quale i bombaroli della Federazione
anarchica informale hanno
beffardamente sottratto anche la
sigla); e al tempo stesso sarebbe sbagliato
tracciare un collegamento diretto
tra queste presenze e le azioni
più violente avvenute in città negli
anni scorsi. Diversi sospetti sono gravati nel
corso delle indagini sulla Brigata
20 luglio, ma sono rimasti tali.
Nessuna indagine, nessuna sentenza,
ha mai dimostrato questi collegamenti.
Finora gli insurrezionalisti che abitano
a Genova sono finiti nel mirino
per episodi non particolarmente violenti.
La contestazione agli alpini appena
giunti in città, le numerose
scritte apparse sui muri del centro
storico che hanno imbrattato anche
la pittura preziosa di Palazzo Ducale.
E poi la presenza di diversi esponenti
nelle manifestazioni davanti al carcere di Marassi o negli
episodi di contestazione
ai raduni o alle raccolte di
firme della Lega Nord o del Pdl.
L’episodio che ha destato più allarme nella polizia avviene nell’aprile
2007. In porto muore Enrico Formenti,
il lavoratore schiacciato da
una pila di balle di cellulosa al terminal
Forest di Ponte Somalia. I portuali scendono in strada.
A loro si unisce un gruppo di anarchici,
che blocca
il varco di lungomare Canepa. Tra di
loro c’è anche Gianfranco Zoja, 55
anni, arrestato l’11 giugno con l’accusa
di partecipazione a banda armata
con finalità di terrorismo insieme
a Riccardo Massimo Porcile.
È la spia del tentativo di una saldatura
tra gli insurrezionalisti e “anziani”
che si rifanno direttamente, almeno
secondo le accuse della procura,
alle Brigate Rosse. La connessione,
però, si limita a questo
contatto. E gli episodi che vedono
coinvolta la comunità anarchica e insurrezionalista
genovese si dimostrano,
a conti fatti, poca cosa. Come
nel caso di Nora Gattiglia, 25 anni.
Era stata arrestata per aver fatto
esplodere degli ordigni davanti alla
caserma dei vigili urbani di Parma tra
il 19 e il 20 ottobre 2008.
Lì alcune settimane prima era
stato portato Emmanuel Bonsu, lo
studente ghanese oggetto di abusi e
insulti a sfondo razziale da parte di alcuni
agenti. La Gattiglia rifutò anche
gli arresti domiciliari, decidendo di
rimanere in carcere.
La sentenza ha poi chiarito che non
erano bombe, ma solo petardi. È arrivata
la condanna a un anno, ma dalle
accuse di terrorismo è stata completamente
scagionata. Finita in cella
per qualche botto come quelli che si
tirano a Capodanno.
Così com’è avvenuto per Loredana
Cavallotto, arrestata ad Atene alla vigilia
della grande manifestazione a
un anno di distanza dalla morte di
Alexandros Grigoropoulos, il ragazzo
di 15 anni ucciso dalla polizia, ma poi
scarcerata dal giudice. Sfortunata
anche l’azione individuale di protesta
di Juan Antonio Sarroche, lo spagnolo
che vive a Genova e che il 28
maggio contestò il ministro della Difesa
Antonio La Russa in visita nella
città vecchia. Bloccato dalla scorta, rimediò
anche un pugno dal senatore
Pdl Giorgio Bornacin.
Intorno a loro vive una strana e
composita galassia libertaria: arrivano
da Torino, da Viterbo, da Rovereto.
Intorno a loro coalizzano energie
e affascinano anche i giovanissimi.
Hanno più di un luogo di ritrovo
(com’è possibile leggere nel servizio a
destra) nel tentativo di sfuggire alle
logiche del consumismo e della massificazione.
Quando c’è il rifiuto della
violenza, rappresentano una realtà
vivace della città.
Con i giornalisti non parlano. Non
vogliono farsi descrivere né catalogare.
Com’è ovvio. Magari si confidano
in privato, davanti a una birra:
«Questa è una città che muore, una
città imbrigliata, prigioniera di se
stessa e delle sue barriere. Soprattutto
di quelle mentali. Noi vogliamo
spezzarle». Le bombe della Fai?
«Bombe di Stato. Per innalzare la
tensione, come sempre». Finisce
così, in un angolo del centro storico,
un breve incontro, un breve dialogo.
Nella città dove gli anarchici del terzo
millennio hanno deciso di prendere
casa.